La scorsa settimana, in occasione del forum internazionale “Yerevan Dialogue 2025”, abbiamo incontrato nella capitale armena Ani Badalyan, portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia.
Le trattative per la pace con l’Azerbaigian sono giunte a un momento cruciale, con un accordo apparentemente pronto per la firma. In parallelo, si ridefinisce il posizionamento internazionale del Paese: dagli Stati Uniti all’Unione Europea, dalla Russia all’Iran, fino a India e Cina, i rapporti diplomatici si stanno evolvendo rapidamente.
Sul piano interno, resta centrale il delicato processo di comunicazione con l’opinione pubblica, chiamata ad accettare le implicazioni di una svolta storica.
L’abbiamo intervistata per capire la situazione attuale, i prossimi passi e gli equilibri in evoluzione nel cuore del Caucaso. Ani Badalyan si è dimostrata pronta e cortese nel rispondere a qualsiasi domanda, un atteggiamento apprezzabile nei confronti di un giornalista straniero in un momento così sensibile per la diplomazia armena.
Lo scorso settembre abbiamo incontrato il vice ministro degli Esteri Paruyr Hovhannisyan, che ci aveva spiegato come l’accordo di pace fosse ormai pronto, a eccezione di alcuni dettagli minori. Ora il primo ministro Pashinyan ha dichiarato che l’Armenia è pronta a firmare il trattato e che anche le ultime precondizioni poste dall’Azerbaigian sono state risolte o sono risolvibili. Siamo davvero vicini alla pace?
Dallo scorso settembre, in effetti, Armenia e Azerbaigian hanno raggiunto un traguardo importante, ovvero l’accordo sul progetto di Trattato di pace e stabilimento delle relazioni interstatali tra Armenia e Azerbaigian. Come sapete, a marzo abbiamo annunciato che il progetto di Trattato di pace è stato concordato e che i negoziati sul testo si sono conclusi.
L’Armenia ha annunciato di essere pronta a firmare il trattato senza alcun ritardo e ha proposto di iniziare le consultazioni sul luogo e il momento della firma.
Quindi siamo vicini?
Come ho detto, l’Armenia è pronta a firmare l’accordo. E dalle reazioni di molti partner internazionali vediamo non solo che hanno accolto con favore il fatto che esista un accordo sul testo, ma che sostengono anche una rapida firma.
Allo stesso tempo, avete menzionato alcune questioni sollevate dall’Azerbaigian: lo scioglimento del Gruppo di Minsk dell’OSCE e la questione costituzionale. Sul primo punto, l’Armenia ha annunciato al massimo livello la propria disponibilità a considerare lo scioglimento del Gruppo di Minsk dell’OSCE, tuttavia vogliamo assicurarci che, quando raggiungeremo lo scioglimento di quelle strutture, sia stato raggiunto anche lo scioglimento del conflitto sia de jure che de facto – il che significa avere una pace istituzionalizzata con l’Azerbaigian. Pertanto, la richiesta congiunta all’OSCE per sciogliere il Gruppo di Minsk può essere firmata contestualmente alla firma del Trattato di pace.
Per quanto riguarda la questione costituzionale, la posizione dell’Armenia è stata molto chiara e comprensibile. Il principio del riconoscimento dell’integrità territoriale entro i confini delle Repubbliche stabilite al momento del crollo dell’Unione Sovietica è previsto nel progetto di Trattato di pace. Quindi il modo più diretto per affrontare le preoccupazioni – se sincere – è la firma del Trattato di pace stesso e la sua ratifica da parte del Parlamento, nel caso dell’Armenia – dopo il parere positivo della Corte costituzionale.
L’accordo sul progetto di trattato di pace è stato un passo importante, ma fa parte di un processo più ampio volto a raggiungere una pace definitiva nella nostra regione, il Caucaso meridionale. E qui desidero sottolineare, come ha dichiarato il ministro degli Esteri dell’Armenia Mirzoyan durante il suo intervento allo “Yerevan Dialogue 2025”, che nel mondo esiste una forte domanda di pace, non solo nella nostra regione. Ma nella nostra regione c’è una reale opportunità. E qui i partner internazionali possono contribuire a ottenere risultati tangibili, compresa la firma del trattato di pace e l’avvicinamento all’instaurazione della pace nell’intero Caucaso meridionale.
Rispetto allo scorso anno, abbiamo assistito a un cambiamento nella politica estera verso Stati Uniti e Russia? I rapporti con la CSTO* si erano congelati, eppure il primo ministro Pashinyan ha partecipato alla Giornata della Vittoria a Mosca.
Non credo che stiamo assistendo a un simile cambiamento. La sospensione della partecipazione dell’Armenia alla CSTO ha motivazioni concrete che sono ancora valide: l’Armenia era chiaramente insoddisfatta della risposta dell’organizzazione quando il confine sovrano e l’integrità territoriale del Paese sono stati violati. In realtà, non c’è stata alcuna reazione. Ecco perché abbiamo congelato la nostra partecipazione alla CSTO, e non prevediamo cambiamenti in tal senso.
Per quanto riguarda la partecipazione del primo ministro a Mosca, il dialogo politico con la Russia continua, in quanto siamo partner; e naturalmente l’Armenia celebra l’anniversario della Vittoria nella Seconda guerra mondiale, a cui contribuì in maniera significativa con un alto tributo umano: 300.000 armeni morirono durante il conflitto.
Aggiungo che oggi c’è un dialogo aperto tra Armenia e Russia. Discutiamo apertamente non solo degli aspetti su cui possiamo collaborare, ma anche delle questioni in cui i nostri approcci non necessariamente coincidono, ad esempio la CSTO.
Non direi che questa dinamica sia collegata alla nuova amministrazione statunitense. A gennaio abbiamo firmato la Carta di partenariato strategico con gli Stati Uniti, si sono tenuti incontri di alto livello con la nuova amministrazione già all’inizio dell’anno, e proseguiamo il dialogo con essa per attuare questo partenariato in tutte le aree di interesse comune, inclusi economia, sicurezza e gestione dei confini.
Come ho sottolineato in precedenza, costruire la pace nella regione è una priorità strategica per l’Armenia, e constatiamo l’interesse dell’amministrazione Trump a sostenere gli sforzi di pace, la firma dell’accordo e a contribuire alla prosperità della nostra regione. Quindi, come si può vedere, questo approccio è in linea con le nostre priorità.

Per quanto riguarda i rapporti con l’UE, sono più affidabili in questo momento, considerando una politica estera statunitense così instabile?
Non farei un paragone tra il partenariato con l’UE e quello con gli Stati Uniti – le agende e le aspettative sono in parte diverse.
Con l’UE stiamo lavorando a una nuova agenda di partenariato che copre una vasta gamma di settori in cui desideriamo approfondire la cooperazione: dalla riforma della giustizia allo sviluppo economico, alla connettività e all’energia. L’Armenia è stato il primo Paese non candidato a beneficiare del Piano di crescita e resilienza dell’UE lo scorso anno. Riteniamo che questo partenariato non solo renda l’Armenia più resiliente e avvicini il nostro Paese alla famiglia europea, ma sia anche pienamente in linea con le aspirazioni dei nostri cittadini. Come sapete, tali aspirazioni si sono riflesse anche nell’iniziativa civile per avviare il processo di adesione all’UE, che è diventata un disegno di legge adottato dal Parlamento armeno a marzo di quest’anno.
Quanto tempo ci vorrà per raggiungere questo obiettivo?
Attualmente siamo concentrati su misure concrete: lo scorso anno abbiamo ricevuto per la prima volta supporto dallo European Peace Facility. Abbiamo avviato il dialogo sulla liberalizzazione dei visti, a lungo atteso dai nostri cittadini. Esiste una volontà politica per ottenere risultati positivi sulla liberalizzazione, stiamo lavorando sul piano d’azione e continuiamo le necessarie riforme. Collaboriamo e manteniamo interesse anche per il programma Eastern Partnership, che ha contribuito in modo significativo alle riforme democratiche.
C’è interesse a espandere le esportazioni verso il mercato UE, quindi dobbiamo lavorare su meccanismi concreti, anche per quanto riguarda gli standard europei. Naturalmente stiamo dialogando e vediamo ottime prospettive per la cooperazione in materia di connettività, poiché riteniamo che la nostra iniziativa del “Crossroads of Peace” sia pienamente compatibile con il Global Gateway dell’UE e il Middle Corridor.
Vorrei sottolineare che lavoriamo anche all’approfondimento della cooperazione bilaterale con gli Stati membri dell’UE attraverso la definizione di partenariati strategici. L’ultimo esempio è la Dichiarazione sul partenariato strategico con i Paesi Bassi, con i quali condividiamo un forte impegno per il rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto.
Quali sono i rapporti con il vicino Iran?
Abbiamo tradizionalmente ottimi rapporti con Iran e Georgia. Considerando il contesto regionale complesso, attribuiamo grande valore al chiaro sostegno dell’Iran all’integrità territoriale dell’Armenia, che è per noi vitale. La stabilità nel nostro vicinato immediato e nel più ampio Medio Oriente è importante anche per la nostra regione, per le sue possibili implicazioni, e per questo seguiamo i negoziati tra Iran e Stati Uniti con la speranza che portino a risultati positivi.
Allo “Yerevan Dialogue” erano presenti relatori turchi…
La Turchia può avere un ruolo positivo: la normalizzazione delle relazioni con Ankara, l’apertura delle frontiere e l’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Armenia e Turchia sarebbero una svolta. La frontiera è stata aperta più volte per motivi umanitari, ma l’apertura definitiva e completa avrebbe un impatto più ampio.
Il partenariato con l’India è altrettanto importante? La Cina investe nei Paesi vicini…
Abbiamo costruito agende bilaterali con Cina e India e queste non si ostacolano a vicenda. Al contrario, riteniamo che la nostra iniziativa del “Crossroads of Peace” possa giovare a tutti noi, e tra l’altro abbiamo ricevuto segnali positivi da entrambi i Paesi.
Lo scorso anno abbiamo lanciato il primo volo diretto tra Armenia e Cina. Come ho già detto, attraverso una maggiore connettività esiste un grande potenziale per il commercio.
Con l’India il dialogo politico è molto attivo e abbraccia molti aspetti della cooperazione bilaterale. Tra l’altro, abbiamo organizzato lo “Yerevan Dialogue” inizialmente in collaborazione con partner indiani, come una delle iniziative di successo (quest’anno anche con colleghi polacchi e francesi). Le relazioni si sono sviluppate notevolmente negli ultimi 3-4 anni attraverso dialogo politico e visite reciproche, anche in ambiti mai esplorati prima.
La cooperazione militare è quella principale con Delhi?
I media tendono a concentrarsi su questo aspetto, ma ci sono anche altre direzioni, tra cui contatti commerciali, educazione, ecc.
Quest’anno ricorre il 30° anniversario dell’Accordo di amicizia con l’India, uno dei primi e fondamentali documenti firmati già negli anni ’90, appena dopo l’indipendenza dell’Armenia.

Quali Paesi europei erano presenti allo Yerevan Dialogue?
Allo “Yerevan Dialogue” hanno partecipato i ministri degli Esteri di Francia e Ungheria, il primo ministro della Slovacchia e il vice primo ministro del Montenegro, per citare i rappresentanti di più alto livello.
Tra l’altro, con il Montenegro discutiamo anche della loro esperienza nel processo di adesione all’UE.
Tra gli altri eventi di rilievo attesi in Armenia, l’anno prossimo ospiteremo la COP17 sulla biodiversità e la riunione primaverile della Comunità Politica Europea.
Libertà di stampa: un punto di forza per l’Armenia nel suo percorso europeo?
Siamo al 34° posto nell’indice di Reporters Without Borders. È un risultato importante, che dimostra il nostro impegno per la libertà di espressione.
In Armenia tutte le opinioni vengono ascoltate. Non è sempre la scelta più facile, ma fa parte della democrazia.
È – e sarà – facile istituzionalmente far comprendere alla popolazione le scelte del governo? Non è facile per tutti accettare un accordo di pace…
È una domanda legittima. In effetti, non è stato facile sostenere la pace quando le ferite sono ancora aperte. Ovviamente, la firma dell’accordo non curerà immediatamente quelle ferite.
Raggiungere la pace non è un evento unico, ma un processo continuo che richiede passi coraggiosi, diplomazia e costruzione della fiducia. Il governo armeno è determinato ad avviare questo percorso.
L’Armenia ha scelto di costruire una pace istituzionale e duratura, e questa agenda è sostenuta dalla società.
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